giovedì 17 aprile 2014

Cronache dalla laguna (note su Tunisi) pt.2

“La lingua francese usata nella scrittura ci “consegna” all'altro, ma ce ne difenderemo tramite l'arabesco, la sovversione, il dedalo, il labirinto, il costante decentramento della frase e del linguaggio, in modo tale che l'altro si perda come nei vicoli della casba”.
(Abdelwahab Maddeb, scrittore tunisino contemporaneo)

Frase tratta da un saggio* in cui lo scrittore tunisino legittima l'uso della lingua francese da parte degli scrittori maghrebini. Questa, infatti, si rivela un'arma a doppio taglio, in quanto strumento di riscatto dalle due culture. Maddeb sceglie di usare la lingua degli ex-colonizzatori francesi per parlare di una cultura “altra” (creando estraneità e decentramento rispetto alla Francia), e allo stesso tempo per parlare di tabù che la lingua araba renderebbe meno eclatanti e circoscritti ai paesi arabi.
tetti della Medina

Medina

Av. Habib Bourguiba è la strada del centro europeo per eccellenza, dato che qua si trovano la Cattedrale
cattolica Saint Vincent de Paul, il teatro (costruito dai francesi), e l'ambasciata francese (quest'ultima protetta da filo spinato e qualche unità militare con la camionetta). Da qua si attraversa av. de France, poi piazza della Vittoria, con la porta Bab El Bahar, e si arriva alla Medina (la città antica), una particolare tipologia di centro storico. Infatti, mentre nei centri storici europei i prezzi delle case hanno un alto valore, e le abitazioni sono ambite da chi ha grosse disponibilità pecuniarie, nella Medina le case antiche hanno prezzi bassi di affitto, e sono abitate per lo più dai tunisini. Questo perché orientarsi fra i vicoli labirintici della Medina può essere
porta Bab el Bahar
deleterio per un visitatore. La sera, inoltre, un intrico di strade strette, tutte uguali, in cui le macchine non possono passare, non è il posto più sicuro in cui trovarsi. Anzi, non è sicuro affatto. Di giorno, basta seguire le viette principali e affollate, e non si corrono grossi pericoli.
Due di queste viette, quasi perpendicolari fra loro, sono l'una il suq per residenti, in cui si vendono merci di tutti i tipi, di quotidiana utilità (dal vestiario alle lampadine, dalle lenzuola ai quaderni di Hello Kitty); l'altra il suq per turisti, dove si vendono souvenir, in un susseguirsi di bancarelle molto simili fra loro, con diverse serie che si ripetono (vestiti-gioielli-oggetti di vario tipo; vestiti-gioielli-oggetti di vario tipo), e qualche variazione (vasellame-antiquariato-ceste).
Insieme al turco e ad altri studenti del Bourguiba abbiamo percorso tutto il suq turistico, arrivando a quello che arbitrariamente potremmo definire il centro della Medina, ai piedi della moschea Al-Zaytuna. Un uomo anziano seduto sulle scale ci fece cenno di salire. In cima alle scale trovammo un banchetto gestito da due musulmani, con sopra opuscoli sulla fede islamica. Ci chiesero se fossimo interessati all'acquisto, e ci dissero che per proseguire sarebbe servita una guida. Dopo aver capito che la visita era vincolata dalla loro guida, declinammo l'invito e tornammo fuori, sulle scale della moschea. Lo stesso anziano che ci aveva fatto cenno di entrare si avvicinò, e ci chiese se fossimo interessati a visitare una terrazza da cui si sarebbero viste dieci moschee. Giurò che ci avrebbe condotto lì, perché sapeva che le guide della moschea sarebbero costate molto, mentre il suo compenso sarebbe stato ad offerta. Iniziammo quindi a discutere fra di noi, perché il turco assicurava di essere stato già su quella terrazza (però non avrebbe saputo arrivarci da solo), ma c'era chi preferiva esplorare per conto proprio, senza legarsi a guide di fortuna. Dopo un breve tira e molla, ci lasciammo condurre fra i cunicoli della Medina, che si presentò come un labirinto. Attraversammo stradine non turistiche, sporche e vuote, o con qualche autoctono seduto per terra. Una svolta a destra e una a sinistra non facevano differenza, perché sembrava di trovarsi sempre nella stessa posizione. Infine arrivammo ad una casa in cui, al piano terra, decorato con arazzi e tappeti alle pareti, in penombra c'erano quattro anziani che guardavano la televisione. Li salutammo, salam aleikum, e loro ci scrutarono e risponderono con un cenno del capo. Al primo piano si intravedeva un corridoio e delle stanze, e in una parete c'era una foto. La nostra guida la indicò, dicendo che quella casa è stata la residenza di un Bey turco. Lungo le scale per salire al secondo piano c'erano due o tre macchine da scrivere sgangherate, e al secondo piano altri oggetti d'antiquaria, tra cui un grammofono impolverato. C'era un letto matrimoniale di vecchia fattura, con drappi arabescanti che lo coprivano dall'alto. Da lì fu immediato il richiamo alla Tangeri di Burroughs e Bowles.
Arrivammo finalmente alla terrazza, tutta decorata con piastrelle colorate (tonalità sul giallo, verde, blu e rosso). La terrazza era su più livelli, divisi da caratteristici archetti. Sul pavimento c'era un pozzetto, si intravedeva un bagno. Ma lo spettacolo più grande era la vista a 360° della città. Le terrazze accanto erano anch'esse colorate e decorate, e tutt'intorno i tetti bianchi della Medina (con le antenne paraboliche). Ma la vista andava ben oltre la Medina, passando per il centro europeo, da cui sbucavano gli alberghi, e arrivava fino alla laguna (verso nord) e le colline (nord-est e nord-ovest). La guida ci indicò le torri delle dieci moschee, di cui una era turca.
Passati circa una decina di minuti, la guida fece pressione per scendere, e dopo averla pagata ci ricondusse ai vicoli, dove la seguimmo fino alle stradine affollate. Non facemmo in tempo a dire grazie che, dopo una svolta a sinistra, si volatilizzò, sparita.
vista dalla terrazza

Fuori Medina

avenue Bab Jedid
Riuscimmo a dare una sbirciatina alla periferia di Tunisi.
Percorremmo il suq per residenti per centinaia di metri, interrotto da una piazza del mercato di frutta e verdura. Nella piazza c'era una moschea, e dagli altoparlanti rimbombava la voce del muezzin (colui che richiama alla preghiera, cinque volte al giorno), ma nessuno sembrava badargli. Proseguimmo oltre la piazza, nel suq degli alimentari, in cui l'odore di interiora di animale impregnava l'aria, dato che queste (insieme alle teste di capre appena tagliate) erano esposte nelle bancarelle. Dopo un altro bel pezzo di mercato usciamo in una zona completamente diversa dal centro (diversa sia da quello occidentale che dalla Medina). Nessun turista, un uomo carica la spesa sul pick-up, quattro ragazze con l'hijab (velo che lascia scoperto tutto il viso) camminano a braccetto, i ragazzi bevono thé al bar e guardano la partita, facce stupite e divertite che non si aspettano visitatori. Non era ancora propriamente periferia, ma stavamo uscendo dal centro in direzione sud. Anche l'architettura era cambiata. Gli edifici non erano europei, ma neanche antichi e compatti come nella Medina.
In tutti i capoluoghi, e nelle città di una certa rilevanza, si possono riscontrare (in modi differenti) queste diversità. Il centro storico è sempre diverso dalle zone – più o meno stratificate – che si dipartono in senso centrifugo. Più ci si allontana dal centro, e più i passaggi del tempo sono meno visibili. Il centro (non a caso viene chiamato “storico”) è la zona che registra tutti i cambiamenti che si susseguono nel tempo, anche di breve durata, conservando dall'edificio più antico a quello più moderno, dalle botteghe artigianali agli uffici di marketing più all'avanguardia. Dalle mura più antiche all'opera d'arte contemporanea. Il centro è, inoltre, la zona che favorisce il melting pot, dove si trova il maggior numero di etnie.
Il centro è in continuo movimento, la periferia è statica. Il centro fermenta, la periferia sedimenta.
Per conoscere la storia di una città, e capirne la popolazione, il centro mostra i risultati migliori; ma per viverne un tipo di realtà autentica, è meglio dare uno sguardo alla periferia.

Bourguiba

ingresso Istituto Bourguiba
L'Institut Bourguiba des Langues Vivantes è un edificio a quattro piani su av. de La Liberté, visibile dalla finestra del nostro alloggio. Il suo nome è in onore di Habib Burguiba, colui che fondò la Tunisia moderna, divenendo (alla fine degli anni '50) presidente del governo indipendente della Tunisia. Il suo nome lo si ritrova di frequente nella città.
L'Istituto Bourguiba gode di un certo prestigio a livello internazionale, poiché insegna l'arabo agli stranieri (o anche ai tunisini, che parlano prevalentemente dialetto tunisino), e le lingue straniere agli arabi. Gli studenti stranieri del Bourguiba provengono da tutto il mondo, e attualmente le comunità più numerose di studenti sono 1) coreani 2) italiani. Gli altri studenti provengono da paesi europei (Spagna, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda), o da altre regioni orientali (Cina, Taiwan). Le nazionalità di provenienza sono disparate tanto quanto le ragioni che spingono le persone a iscriversi. C'è chi è attratto dalla lingua e dalla cultura araba, e spesso si tratta di studenti che vengono per conto della Ca' Foscari di Venezia, università di lingue e letterature straniere; c'è chi vuole avere la lingua araba nel curriculum, ed è in cerca di un posto nel settore delle relazioni internazionali; chi ha già o ha intenzione di aprire un'attività nel Maghreb, come uno studio di avvocatura. Gli orientali vengono spesso per conto di grandi aziende che intendono investire nei paesi arabi. Non tutti, però, hanno le idee chiare e, come capita spesso nei percorsi lunghi di studio, bisogna trovare il modo di intrattenersi, temporeggiare, con un lavoro part-time come cantante in un locale, tre volte a settimana.

Parte 1   Parte 3

*(Marina Guglielmi, La traduzione letteraria, p.173 in Letteratura comparata, a cura di Armando Gnisci, Bruno Mondadori, Milano, 2002)

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