martedì 16 dicembre 2014

Wu-Tang Clan, per un domani migliore, anche se il meglio l'hanno già dato

Warner Bros Records, 2014
A ventun'anni dal disco d'esordio, e a sette anni dall'ultimo album in studio, il Wu-Tang Clan si riunisce per il sesto e probabilmente ultimo album di gruppo, A Better Tomorrow, uscito lo scorso 2 dicembre per la Warner Bros. Il disco sarebbe dovuto uscire nel 2013 per celebrare il ventesimo anniversario dall'uscita del primo album, Enter The Wu-Tang (36 Chambers)(1993), ma una serie di disaccordi fra i membri del Clan fece posticipare il progetto.
Nonostante abbiano perso la coincidenza dell'anniversario, la nostalgia delle origini del gruppo è ben chiara, e il sapore nostalgico è evidente fin dalla copertina, con il logo classico e il font semplice del titolo come fossero uno sticker sopra un panoramico paesaggio urbano. La città rappresentata è composta dei monumenti e degli edifici più rappresentativi di diversi paesi del mondo. A sovrastare la città, una nuvola grossa a ciel sereno dalla forma del logo Wu-Tang (che rappresenta sia una sorta di volatile stilizzato, sia una W), come a ribadire la loro fama mondiale, o comunque la loro volontà di parlare a tutto il mondo – una megalomania tipicamente statunitense.



Loud/RCA Records, 1997
Il titolo dell'album è ripreso dalla decima traccia presente nel secondo LP, Wu-Tang Forever (1997). E ancora, all'interno del nuovo album è presente la canzone, intitolata anch'essa A better tomorrow, che rende inevitabile un confronto con l'omonima precedente. Come si può intuire dal significato del titolo (“un domani migliore”), la speranza sottintesa in entrambe le tracce è di cambiare le degradate condizioni di vita degli afroamericani emarginati nei ghetti, una realtà già denunciata nella vecchia traccia, e ribadita in quella odierna. Se la traccia del '97 ha contenuti crudi, una vera testimonianza interna dai ghetti, nella nuova ABT i cantanti parlano da “fuori dal ghetto”, ma affrontano con maggiore coscienza storica le problematiche legate agli afroamericani. Nella prima ABT il punto di vista è di chi ha reagito alla povertà senza degenerare nel crimine o nel consumo massiccio di crack e alcol, e nelle problematiche conseguenti (violenza domestica, piccoli crimini per procurarsi la dose ecc.), che dovrebbero essere un monito a cercare un'altra via d'uscita – “ cause your seeds grow up the same way”, come dice l'ultimo verso del ritornello (letteralmente: “perché i semi che pianti cresceranno nella stessa maniera”, ovvero, se ti comporti da criminale, i tuoi figli molto probabilmente seguiranno il tuo esempio). Nella traccia odierna, invece, le denunce escono dal ghetto e si estendono ai problemi che interessano i cittadini afroamericani di tutto il paese. Mentre Cappadonna (il decimo membro del Clan acquisito a posteriori) se la prende con i postumi dell'amministrazione Bush, la legge marziale e le diseguaglianze nell'ambito scolastico, Raekwon cita Malcolm X e Martin Luther King, i leader degli anni '60 che combatterono (con intenzioni diverse) per i diritti civili degli afroamericani. E lo fa omaggiando Malcolm X con il comune saluto musulmano (“as-salamu alaykum, alaykum as-salam”). Raekwon, infatti, insieme a Ghostface Killah, come anche molti altri rapper afroamericani, fa parte della Five-Percent Nation, una setta islamica afroamericana nata negli anni '60 dalla N.O.I. (Nation of Islam), la setta storica di cui fece parte inizialmente Malcolm X, e dalla quale più tardi si dissociò.

Loud/RCA Records, 1993
Ma il taglio nostalgico del disco si condensa tutto nell'ultima traccia, Wu-Tang Reunion, che si apre allo stesso modo del loro primo singolo di successo (Protect Ya Neck, 1993), e l'insieme di testo e sample di una canzone soul (“...family reunion, it's so nice to come together...”), parlano di una vera e propria riunione di famiglia. E non poteva mancare l'eccentrica presenza di Ol' Dirty Bastard, uno dei fondatori del Clan e protagonista di diverse bizzarrie, morto nel 2004 per overdose, di cui si sentono campionamenti in diverse tracce dell'album.
Nel complesso la sonorità del disco non porta grandi novità (a parte Miracle, a mio parere la meno accattivante), e rimane abbastanza classica e fedele al primo disco e ai generi che l'hanno ispirato. Tornano quindi i campionamenti dai film di kung-fu, che rappresentarono la vera novità e crearono l'autentico immaginario di Enter the Wu-Tang.
Fra le tracce che meritano attenzione c'è sicuramente Preacher's Daughter, che fa il verso alla canzone originale, Son of a Preacher Man di Dusty Springfield, resa popolare dal film Pulp Fiction. Dall'originale vengono ripresi melodia e ritmo del ritornello, mentre nel testo si invertono i sessi del rapporto trasgressivo (non più la ragazza innamorata del figlio del predicatore, ma la figlia del predicatore che frequenta i “cattivi ragazzi”). Inoltre è inevitabile pensare a Hits from the Bong dei Cypress Hill, il gruppo della costa ovest concorrente (ma non rivale) dei Wu-Tang negli anni '90. La famosa canzone del '93 dei Cypress Hill, infatti, è indimenticabile per l'uso geniale del sample della melodia iniziale di Son of a Preacher Man, che per rispetto (ma principalmente per non scadere nel plagio) non è stato usato dai Wu-Tang nella loro traccia.

Un album che ha creato molte perplessità (su Pitchfork viene abbastanza stroncato) e sembra più che altro affermare che i Wu-Tang ci sono ancora, e ci credono ancora, ma non pretendono (fortunatamente) alcuna rinascita. Fra le varie polemiche che hanno ritardato la produzione del disco nel 2013, la dichiarazione più saggia pare essere stata quella di GZA, mente e beatmaker del gruppo, che ha affermato: “It would be great to do another album, come back with a banger. But I don’t think we have anything to prove. We proved it already.”(“Sarebbe bello fare un altro album, tornare col botto. Ma credo che non abbiamo niente da dimostrare. L'abbiamo già fatto”).

Nessun commento: