Partecipazione di Luciano Marroccu (ordinario di storia contemporanea), Valeria Deplano (studiosa di storia contemporanea) e dell'autore
Emilio Gentile - E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma (Laterza, 2012) |
Eppure, a detta del prof. Marroccu, questo libro è atipico nella produzione di Gentile (che copre quarant'anni di attività), in quanto è strutturato come una narrazione storiografica, un'histoire battaille. La narrazione, dice Gentile, si è resa necessaria. Visto il trattamento della marcia su Roma da parte di certe correnti storiografiche, che si rifanno ad altre correnti o a singoli storici di recente tradizione, Gentile ha preferito affidarsi agli storici antifascisti che hanno vissuto quegli anni. Cita infatti, fra gli altri, Giovanni Amendola, Luigi Salvatorelli e Luigi Sturzo. Se si leggono i loro articoli giornalistici e le loro lettere, appare evidente che furono fra gli unici a capire il fascismo fin dall'embrione. Furono fra i pochi ad aver intuito la sua natura totalitaria, e a considerarlo un regime insediato in una democrazia parlamentare ormai impotente. Amendola su tutti, fu il primo a coniare la parola “totalitarismo” in riferimento al fascismo. Fu sempre lui il primo a parlare di fascismo come religione. Salvatorelli espresse la sua convinzione che il partito fascista puntava alla dittatura. La maggior parte di tali documenti risalgono al '22, quando tutti consideravano ancora il fascismo un movimento incerto ed effimero. Gli altri intellettuali non capirono la portata di ciò che stava accadendo. Non Filippo Turati, né Gateano Salvemini, per il quale Mussolini era meglio di Giolitti, di Nenni e di Turati stesso. Nemmeno Antonio Gramsci, che definì la marcia su Roma una farsa, e che nel '24 affermò che ormai il fascismo era alla vigilia della fine. “Loro capirono il fascismo solo dopo che questo li buttò in prigione, o fuori dall'Italia”, dice Gentile. Ancora oggi sono molteplici le interpretazioni sulla marcia, e c'è ancora chi la considera alla stregua di Gramsci. Proprio per questo Gentile ha sentito il bisogno di affidarsi a fonti autorevoli e antifasciste che offrirono una chiave d'interpretazione prima di tutti: “Posso affermare che questo libro mi è stato dettato da Amendola, Salvatorelli e indirettamente da Sturzo. Non sono io l'autore”. Tale provocazione allude a una certa storiografia anglosassone che lo accusa di essersi fatto “ubriacare dalla retorica fascista”, e di non affidarsi alle fonti. Preferito e tradotto più dagli americani che dagli inglesi, Gentile con questo libro invita a considerare la marcia su Roma una vicenda aperta. La sua chiave di lettura, non solo della marcia, ma di tutti gli eventi storici, è che non c'è niente di necessario, né di scontato nella storia che ci precede. Bisogna fare lo sforzo di spogliarsi di ciò che la scuola e la storiografia ci hanno insegnato. In virtù di questo Gentile non ha paura di parlare della marcia come di una “rivoluzione politica”, che ha portato alla costruzione di un regime irreversibile. “Volevo intitolarlo Come muore una democrazia, ma non mi sembrava il momento adatto per insegnare a uccidere la democrazia”, ironizza Gentile. In un governo democratico non c'è nulla di irreversibile, e soprattutto non si raggiunge la maggioranza parlamentare con l'uso della violenza, come fece il fascismo. “Giovanni Giolitti e Francesco Crispi tornavano a casa quando non avevano la maggioranza parlamentare, invece Mussolini per averla si affidò a una milizia privata”. Insomma, "bisogna smetterla di affermare che Mussolini salì al governo solo perché voleva rafforzare l'esecutivo, senza intaccare il regime parlamentare, e senza sapere bene cosa fare dopo. Di sicuro non voleva emulare la Roma imperiale, perché se così fosse, non avrebbe coperto le famosissime vestigia della Roma antica per soppiantarle con la veste di una nuova Roma 'mussoliniana'".
Come
ha ricordato la dott.ssa Deplano, l'ottobre scorso hanno ricorso
novant'anni esatti dalla marcia. In questi novant'anni la
storiografia ha cercato di demistificare la retorica creata attorno all'evento culminante che cambiò radicalmente l'Italia, e minò il destino dell'Europa.
Gentile, col suo libro, rappresenta certamente un giusto traguardo
del lavoro di demistificazione. “Io sono uno a cui piace sfatare i
miti. Ma stavolta ho perso, perché ho scoperto che il mito
dell'ospitalità sarda è vero. Anzi, ho vinto di nuovo, perché non
è un mito: è la cosa più concreta che si prova quando si mette
piede in Sardegna”.
(Qui è possibile leggere il prologo del libro, e trovare la bibliografia dell'autore edita da Laterza)
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