[...] Una cosa che ho imparato è che non sono intelligente. Una volta ero presuntuoso e pensavo che ciò fosse intelligenza. Non so come si faccia a ottenere l'intelligenza. Non leggendo e scrivendo; se fosse vero potrei modestamente rivendicare un certo acume. [...]
(lettera 49, John Fante, 14 agosto 1935)
Chiunque conosca, anche solo per
aneddoti, la travagliata storia dello scrittore italo-americano JohnFante, troverebbe inestimabile questo epistolario: Sto sulla riva
dell'acqua e sogno – Lettere a Mencken 1930-1952 (Fazi Editore,
2001). Henry Louis Mencken (critico letterario, giornalista,
editorialista) è stato il mentore di Fante, nonché colui che lo ha
introdotto nel panorama letterario americano, pubblicando alcuni suoi
racconti sulla rivista che diresse fino al 1933, The American
Mercury.
Dopo aver guadagnato la stima di
Mencken grazie al suo potenziale, Fante incomincia, poco più che
ventenne, a scambiare lettere con lui, chiedendogli consigli sullo
scrivere, sulla politica, sugli agenti letterari, sulle donne, sulla
filosofia, e instaurando un rapporto duraturo, che si evolverà nel
tempo, fino alla morte di Mencken nel 1956.
A rendere straordinario questo scambio
epistolare è l'epilogo ormai noto: Fante e Mencken non si
incontrarono mai di persona.
Questo fatto, oltre a dare un'aura mitica al loro rapporto, dà la dimensione di quanto una persona possa influire tanto nella nostra vita, direttamente e indirettamente, senza averla mai vista.
Questo fatto, oltre a dare un'aura mitica al loro rapporto, dà la dimensione di quanto una persona possa influire tanto nella nostra vita, direttamente e indirettamente, senza averla mai vista.
Tutto inizia dall'ammirazione per
qualcuno che sta “più in alto” di noi, che si trasforma presto
in emulazione. Mencken aveva ventinove anni in più di Fante, ed era
già un personaggio molto noto quando questi comincia ad adorarlo
intorno ai vent'anni. Lo adora così tanto che la sua imitazione
diventa maniacale. Fante vuole vestirsi come lui, pettinarsi come
lui, pensare (per quanto possibile) come lui, leggere i libri che
legge lui ecc.
John Fante 1909 - 1983 |
Fante ha vissuto lunghi periodi di
povertà, e cercava di guadagnarsi da vivere con la scrittura. I
racconti non bastavano certo a mantenerlo, ed i romanzi erano ancora
acerbi, perciò scriveva sceneggiature ad Hollywood, consapevole di
far parte di una macchina per soldi (erano gli anni d'oro
dell'industria hollywoodiana), che non aiutava e non premiava la
creatività: “[...] Hollywood è un postaccio. Uccide gli
scrittori. Muoiono giovani, di morte violenta, quaggiù [...]” (J.
Fante, lettera 55, 11 novembre 1936). Fante era ben cosciente di
cosa servisse ad uno scrittore per avere successo: l'allenamento.
Mencken è stato una sorta di coach che lo spronava a provare
e riprovare, che ha anche rifiutato – sempre con garbo – molti
lavori di Fante, spiegandogli cosa non lo convinceva, ma riservandogli sempre lo stesso consiglio: continuare a insistere. I consigli
erano spesso pratici, riguardo a quante parole dovesse scrivere al
mese, e a quanto materiale si dovesse scrivere per poi essere
scartato. Ecco una risposta ad un racconto inviato da Fante.
“Caro signor Fante:
Talvolta fa bene liberarsi di questo
genere di cose, anche se, mi pare ovvio, non è il caso di
pubblicarle in una rivista. A parte questo, cosa sta combinando?
Sinceramente suo, H.L. Mencken”
(lettera 24, 22 maggio 1933).
Oppure ancora, quando Fante gli
manifesta la volontà di provare a pubblicare un romanzo: “[...]
Consiglio sempre ai giovani autori di scartare i primi due o tre
manoscritti. Molti uomini sono stati rovinati dall'essere pubblicati
prematuramente. Dopo che lei avrà fatto due romanzi sarà in grado
di comporne un terzo che sarà dieci volte migliore degli altri due
[...]” (H.L. Mencken, lettera 40, 29 giugno 1934).
Henry Louis Mencken 1880 - 1956 |
Mencken rappresentò per Fante l'ideale
di intellettuale anche per quanto riguarda la posizione politica.
Mencken fu un personaggio spesso controverso, di stampo conservatore,
molto critico nei confronti del proprio paese, e spesso al centro di
forti polemiche. Era un ammiratore della cultura europea,
specialmente germanica, grande estimatore di personaggi quali Wagner
e Nietzsche. Criticò apertamente il New Deal di Roosevelt, appoggiò
la Germania nella Prima Guerra Mondiale e si oppose all'entrata in
guerra degli Stati Uniti. Fante, invece, per quanto volesse
concordare con gli ideali di Mencken, rimaneva una persona di umili
origini, semplice e onesta, come tutto ciò che ha scritto. Infatti
alcune sue posizioni divergevano da quelle di Mencken. Di origini
cattoliche, Fante fu un praticante poco ortodosso, ma ad un certo
punto si ricongiunse con la sua fede, come dice in una lettera in cui
esprime anche il suo disappunto per il fascismo e per il comunismo
(reputava ipocriti i comunisti americani): “Non mi sono bevuto il
comunismo e non trovo granché nel fascismo. Ho quasi ventisei anni:
mi sto riavvicinando al matrimonio e sto tornando al cattolicesimo.
Agostino e Thomas More conoscevano le risposte molto tempo fa.
Aristotele avrebbe sputato in faccia a Mussolini e si sarebbe preso
gioco di Marx [...]” (J. Fante, lettera 55, 11 novembre 1936).
Grazie a questo epistolario è
possibile ripercorrere le tappe principali dell'esordio letterario di
Fante, fra ansie e disperazioni, sicurezze e insicurezze, confessioni
e incomprensioni, da cui emerge la coscienza di uno scrittore di
talento che raggiunge con fatica il suo obbiettivo – che purtroppo
verrà riconosciuto tardivamente.
Mencken era consapevole del talento di
Fante e del fatto che egli lo imitasse, perciò insisteva affinché trovasse una sua via, e non discusse mai le scelte personali
dello scrittore. Alla lettera 55, infatti, Mencken rispose con
un'affermazione che riassume il suo conservatorismo laico: “ Caro
signor Fante: condivido senz'altro con lei i suoi sentimenti sui
comunisti e fascisti, anche se temo di non poterla seguire fra le
braccia della Santa Chiesa. Tutte le persone che propongono di
migliorare la razza umana mi sembrano disoneste allo stesso modo. Non
c'è dubbio che crei del progresso, ma quel progresso è dovuto molto
meno a esortazioni che non alla semplice evoluzione [...]” (H.L.
Mencken, lettera 56, 18 novembre 1936).
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