L'arido mercato ha posto la parola fine
anche sulla rivista di letteratura Pulp, che
ha pubblicato il suo ultimo numero il 30 luglio 2013. La mia meraviglia è da intendersi come stupore: all'uscita
di ogni numero mi chiedevo,
meravigliato (e grato), come facesse Pulp
a sopravvivere.
Nonostante il titolo, era una una
rivista bimestrale indipendente italiana, nata nel 1996, interamente dedicata alla
letteratura, con sporadiche apparizioni di cinema e musica.
La reputavo “rivista italiana di letteratura” per antonomasia, e anche l'unica valida, quindi per me la sua chiusura lascia vacante un importante ruolo: quello, appunto, di rivista italiana autorevole di letteratura.
La linea editoriale di Pulp ha
sfidato l'evoluzione digitale, sociale e commerciale dei mezzi
scritti di informazione e intrattenimento, e ha perso.
Scarna e tradizionale nella forma, non ha mai avuto una versione digitale, né tanto meno un sito di riferimento o una pagina ufficiale nei social network. Le uniche informazioni reperibili nella rete si trovavano in siti e forum sui libri (tra cui Anobii), e qualche citazione in alcuni blog poco conosciuti (sì, è un auto-citazione).
L'unico luogo sicuro in cui trovare Pulp era l'edicola (e neanche sempre). Era l'esempio di una filosofia che ad oggi vale molto nella teoria, ma poco nella pratica: prima la sostanza, poi la forma.
Scarna e tradizionale nella forma, non ha mai avuto una versione digitale, né tanto meno un sito di riferimento o una pagina ufficiale nei social network. Le uniche informazioni reperibili nella rete si trovavano in siti e forum sui libri (tra cui Anobii), e qualche citazione in alcuni blog poco conosciuti (sì, è un auto-citazione).
L'unico luogo sicuro in cui trovare Pulp era l'edicola (e neanche sempre). Era l'esempio di una filosofia che ad oggi vale molto nella teoria, ma poco nella pratica: prima la sostanza, poi la forma.
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Usando
un paradosso, la prima cosa che saltava all'occhio erano i contenuti.
La qualità degli articoli era garantita, il linguaggio si poneva su
un registro intermedio tra l'accademico e il giornalistico, che
accontentava studiosi del settore e profani (lo so perché in alcuni
casi io mi ritrovavo ad essere entrambe le cose). Pulp
valorizzava molto di ciò che veniva tralasciato da
quotidiani e riviste più
diffusi, e non per una banale presa di posizione, bensì
per una banale questione di criterio.
Quotidiani e supplementi
seguono un'agenda serrata e una selezione dettata per lo più dal
mercato e dalla popolarità. Pulp, essendo indipendente, seguiva il criterio della qualità letteraria. Certo, capitava che i criteri potessero coincidere. Infatti molto materiale
riguardava scrittori contemporanei, pubblicazioni contemporanee, ma
anche nuove ristampe e nuove
traduzioni, quindi legate al
mercato editoriale attuale.
In più dava
loro la giusta voce, lo
spazio meritato,
sempre in nome della qualità. Questo
permetteva a Pulp
di essere equilibrata nelle scelte: trattava tanto di autori
stranieri quanto di italiani, di “passati” quanto di
contemporanei, di case editrici dominanti quanto di sconosciute, di generi popolari quanto di generi di nicchia.
Faceva rivivere scrittori del passato (anche nelle copertine),
approfittando di una nuova traduzione o di una nuova ristampa per
ripercorrerne la carriera letteraria e non solo. Fra i nomi ci
sono Sciascia, Huxley, Dumas,
Dostoevskij, ma anche nomi meno popolari come Federigo
Tozzi, Robert
Sheckley,
Juan Carlos Onetti, Lawrence
Durrell, China Mieville. Ma prendeva in considerazione anche tante nuove leve
italiane: lessi di giovani scrittori come Marco Rossari e Vincenzo
Latronico su Pulp,
prima di vedere le loro firme sulle pagine culturali del Corrieredella Sera o sul magazine ILmaschile del Sole24Ore.
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Anche
la scelta della pubblicità era dettata dal criterio della qualità
letteraria, con la proposta di nuove uscite per due case editrici
indipendenti, come del resto lo è la casa editrice della rivista (Edizioni Apache). Le
uniche pubblicità erano, in seconda di copertina, della casa
editrice Agenzia X, e
in quarta di copertina, della casa editrice Effigie.
Oltre
ad arricchire culturalmente, era uno stimolo ad arricchirsi ancora di
più. Ogni due mesi ero invaso dal timore che se avessi comprato Pulp
avrei dovuto resistere a non voler leggere tutti i libri che trovavo
interessanti nella rivista. Adesso
non avrò più quel timore, purtroppo.
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