A discapito della
canzone del maestro Franco Battiato: la mia è stata una vacanza
primaverile, e non ho alloggiato in albergo. I temporali erano tali
da farci ugualmente uscire, e non ho fumato sigarette turche. Ma, in
compenso, spero anch'io che ritorni presto l'era del cinghiale
bianco.
Check-in
Tunisi è bagnata al nostro arrivo. Le nuvole formano un'enorme cappa di umidità che
ricopre la città. Sono in compagnia di un amico italiano, studente
dell'Istituto Bourguiba delle Lingue Viventi. Lui ha già vissuto a
Tunisi per quasi sei mesi, mi ha risparmiato un sacco di fatiche. A
causa di carnagione e piumaggio bruno, dei baffetti e del suo accento ancora incerto, spesse volte gli ignari tunisini gli chiedevano se fosse turco. Da adesso in poi
mi riferirò a lui con l'epiteto di “il turco”.
Appena fuori dall'aeroporto, un
tassista chiede venti dinari per portarci in centro (1 dinaro
tunisino = 0,458 euro), tariffa che, se fossi stato da solo, avrei accettato. Il turco invece lo manda a quel paese e
passiamo al tassista successivo, con cui contrattiamo dieci dinari
(n.b.: l'ultimo giorno dal centro all'aeroporto pagherò quattro
dinari). Saliamo sul taxi e io cerco la cintura di sicurezza, che non
c'è, allora ripiego sulla maniglia sopra il finestrino: manca anche
quella. Neanche il tassista ha la cintura di sicurezza. Mi basterà
un solo giorno per scoprire che taxi e tassisti del genere non sono
l'eccezione, ma la regola.
bandierine in av. Habib Bourguiba (tutte le foto di E.M.) |
Tunisi dall'alto, sulla mappa, mi
ricorda vagamente Cagliari, entrambe città sul mare con tre grossi
stagni vicini alla costa. Bisogna fare le dovute
proporzioni, però, contando che la superficie di Tunisi è estesa più del
doppio rispetto a quella di Cagliari, le strade
urbane sono più ampie di via Dante e quelle extra-urbane hanno cinque corsie per lato,
dove i tassisti sfrecciano alla velocità costante di 100-120 km/h,
col traffico.
Correre in macchina, guardando la
superficie della laguna e la costa opposta, aveva qualcosa di
familiare, se non fosse stato per la musica che usciva dalla radio,
gli odori che entravano dal finestrino e gli occhi piccoli del
tassista, la carnagione fortemente olivastra, la pelle dura e
levigata. Per ogni familiarità che riscontravo, Tunisi offriva
altrettante diversità da affrontare, completamente nuove e
affascinanti per me.
In città come Tunisi lo spirito di
adattamento, la prontezza di riflessi e l'uso dell'ingegno sono più che consigliate, soprattutto nella
vita quotidiana. Il rispetto della regolamentazione dei servizi,
infatti, è ridotto al minimo. Per chi è abituato a viaggiare nelle
grandi città europee, in cui servizi ed esigenze primari sono a
portata del visitatore, ed è abituato a comunicare con la lingua
inglese, sarà interessante scoprire che l'inglese serve a poco e
niente, e i servizi non vanno incontro al visitatore, è il
visitatore che se li deve cercare.
Al primo impatto la città è sporca e
caotica. L'elevato tasso di umidità esalta odori densi e penetranti,
che sono inevitabili al passaggio delle strade del centro: fogna,
aglio, caramello, spezie, urina, fumo della shisha (o
narghilé, di cui quasi tutti i bar sono forniti; i tabacchi più
diffusi sono aromatizzati alla mela o alla menta). La notte prevale
un odore dolciastro e pregnante. Ai bordi delle strade è facile
trovare canaletti d'acqua stagnante, e ogni venti metri, al bordo del
marciapiede, o ammassati nei vicoli, si trovano mucchi di buste della
spazzatura. La città brulica di gatti, che dominano incontrastati
sulla fauna urbana. E, secondo la catena alimentare ben esplicata
dalla canzone Alla fiera dell'est di Angelo Branduardi, è
chiaro il motivo per cui non ci fossero topi in circolazione. La
quasi assenza dei cani, invece, è da ricondurre alla religione:
l'islam, infatti, considera il cane un animale impuro, utile per la
guardia e la caccia, ma non per la compagnia domestica. Ci sono pochi
cassonetti in giro, ed è capitato che i netturbini scioperassero.
Una delle frasi più ricorrenti, quando
si accenna ai disagi urbani, è “prima della rivoluzione non era
così”. Una frase ambigua, che lascia trapelare pareri
contrastanti. Prima della rivoluzione, la cosiddetta “Primavera
araba” (partita proprio dalla Tunisia), il primo ministro della Tunisia era Zine El-Abidine BenAlì, conservatore, e considerato dispotico da gran parte della
popolazione. Ma è ormai luogo comune che i regimi dispotici fanno
“arrivare i treni in orario”, garantendo quindi un certo ordine.
Allo stesso tempo la libertà di espressione era più sorvegliata, e
di conseguenza anche i diritti e i doveri dei cittadini. Ed è a
questa stretta e spesso violenta sorveglianza che i rivoluzionari si
sono opposti. Adesso, con il nuovo primo ministro democratico Moncef Marzouki e la nuova Costituzione, la Tunisia è un banco di prova. Il
processo di riorganizzazione della nazione e conciliazione delle
parti sociali è ancora lungo e, ora come ora, i tunisini si
autogestiscono a modo proprio.
Avenue de La Liberté
scorcio av. de la Liberté |
Alloggiavo nell'appartamento del turco
in avenue de La Liberté, una via principale del quartiere LaFayette,
il quartiere ebraico, situato nel centro europeo vicino alla laguna
(che si trova ad est), fra lo zoo di Tunisi (nord-ovest) e la Medina
(sud-ovest). Di ebraico c'è solo una sinagoga di discrete
dimensioni, fra un edificio e l'altro, la cui entrata principale è
circondata da filo spinato e sorvegliata da guardie armate
ventiquattr'ore su ventiquattro. In sette giorni non ho mai visto
nessuno entrare o uscire. Si dice infatti che gli ebrei (se ce ne
sono) passano dalle porte secondarie, nei vicoli meno affollati.
Neanche cento metri più avanti si trova la moschea Al-Fateh.
Percorrendo av. de La Liberté ci si
imbatte in molte bancarelle di varia mercanzia, da quella più
tradizionale a quella più tecnologica. Queste due tipologie di
merci, spesso accostate nella stessa bancarella, mostrano contrasti
esilaranti. Accanto ad un'ampia esposizione di Corani e libri
religiosi, si trovano anche prodotti proteici per body-builder,
le cui scatole raffigurano busti di culturisti intenti a tendere
bicipiti o pettorali scolpiti. Fra le altre chincaglierie si trovano
profumi solidi e liquidi di tutti i gusti e tutte le forme, e anche
tante jubba (la tunica tunisina) di varie
tonalità e decorazioni. Si sprecano le bancarelle di telefoni
cellulari.
Le bancarelle continuano fino e oltre
Le Passage, punto nevralgico del traffico in cui s'incrociano quattro
strade, tagliate in diagonale dai binari della metro in superficie.
Non mancano abbigliamento e calzature, ma per un'ampia scelta è
meglio farsi un giro al suq (o
souk, mercato
popolare). Non bisogna dimenticare che esistono anche i negozi
tradizionali, dietro le vetrine, dai più comuni ai più costosi, ma
la quantità di bancarelle fa capire quanto sia tangibile la povertà
di gran parte della popolazione. Sui marciapiedi stanno appostati in
gran numero gli sciuscià (termine dialettale napoletano che
indica i lustra-scarpe, nonché omonimo film di Vittorio De Sica,
1946), con il cavalletto poggiapiedi in legno, la tavolozza di lucidi
per scarpe, straccetti e spazzole. Ci sono anche i “pesatori”,
che stanno all'angolo del marciapiede ed espongono una bilancia per i
passanti che si vogliono pesare (analogica 100 millime di dinaro,
digitale 200 o più) lascito dell'antica usanza persiana
della pesata del re. Secondo la tradizione, il giorno del suo
compleanno il re si pesava e dava ai sudditi l'equivalente del suo
peso in oro, affinché essi pregassero per la sua salute e
prosperità. La notte, ai senzatetto è permesso dormire nel
porticato della moschea Al-Fateh, ma non c'è posto per tutti.
Qualcuno dorme sul marciapiede, sopra una scatola di cartone
appiattita, avvolto in un plaid.
Traffico
av. de France, scuola coranica |
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